Le stelle

Chi mi dice che mi sono arenata, chi mi dice che ho perso l’ispirazione, chi mi dice che mi sono persa io. Non scrivo più. Non mi va. Non mi serve.

I ritmi romani sono frenetici, è difficile trovare il tempo per fermarsi, per riflettere e buttare giù qualcosa. E poi la vita italiana non rappresenta una novità né per me che scrivo né per chi mi legge, visto che siete quasi tutti italiani, anche se vivete sparsi per il pianeta.  Di che dovrei parlare: dell’inserimento di Apo al nido? Dell’inizio della scuola per Bibi? Tanto si sa, è quello per tutti, non ho nulla di originale da aggiungere a parte il fatto che credo di avere dei gravi pregiudizi nei confronti delle maestre dell’infanzia, italiane, californiane o messicane che siano: sono arrivata alla conclusione che siano universalmente un po’ bugiarde e spesso intellettualmente limitate e mi scuso con chi ha una mamma o una sorella maestra ma io la vedo così e non è certo colpa mia.

Dovrei forse raccontarvi del cambio di stagione? Perché qui mica stiamo in California, nell’eterna primavera, a Roma esistono le stagioni (ma quelle di mezzo non più, lo sanno tutti) quindi tu a fine settembre prendi la scala, sali in soppalco, ti carichi scatoloni enormi sulle spalle pieni di maglioni e stivali e li porti giù per poi scoprire che a metà ottobre è tornata l’estate: il sole che picchia, i cieli nitidi e le magliette a maniche corte da cercare di corsa nello scatolone dell’estate. Perdonatemi ma non mi sembravano argomenti interessanti.

Avrei forse dovuto parlare del mio bellissimo lavoro con i brasiliani? Avrei potuto, ma l’Italia è una nazione fondata sui rapporti di lavoro occasionali e quindi quel progetto è finito, i brasiliani hanno iniziato l’università e io sto a casa, in attesa di qualcosa di nuovo. Potrei lamentarmi del fatto che in Italia è difficilissimo trovare lavoro, ecco forse potrei scrivere un post di denuncia per scatenare il dissenso e organizzare una manifestazione in piazza. Sarei falsa però. Perché io di questa casalinghitudine forzata con allegati figli a scuola fino alle quattro per ora non mi posso lamentare. Ho scoperto che dedicare del tempo a me e agli altri, con calma e senza orari stabiliti, è una ventata di libertà che non mi sferzava da tempo.

Ho scoperto che quando non hai orari di lavoro da rispettare e bambini piccoli da accudire ti puoi permettere di andare a trovare le persone ammalate, dimenticate e trascurate per colpa della vita delle grandi città che corrono troppo e non si fermano mai. Ho anche scoperto che ho tempo di andare a trovare quella mia amica che abita in centro e, siccome non ho fretta, posso parcheggiare al Celio e continuare a piedi, scendere le scalette e passare accanto a S. Clemente,  la chiesa fatta a strati come le lasagne, e, sempre siccome ho tempo, posso anche decidere di entrare a rivedere gli affreschi e la prima iscrizione in volgare italiano che sia mai stata scritta, che poi è un fumetto e ha anche le prime preposizioni articolate (dovevo mandarci i brasiliani in pellegrinaggio!). Poi Uscendo dalla Basilica, con calma, senza fretta, mi avvio verso casa della mia amica, ma con la coda dell’occhio mi viene spontaneo dare una sbirciatina a sinistra: il Colosseo. Immobile, pigro e saggissimo. E’ lì che aspetta fermo e sembra aver sfondato la quinta di cielo azzurrissimo e nuvoloni che gli si staglia dietro.  Roma è fedele, non cambia mai, sei tu che ogni tanto ti stufi e la tradisci, ma lei non ti rinnega. E ti aspetta ferma.

La casalinghitudine temporanea non è da buttare via. Si trova persino il tempo di andare in una chiesa di periferia ad ascoltare un professore bergamasco che parla di Dante come se fosse un amico di famiglia. E scopri che a quanto pare la Divina Commedia, se la interroghi, ti risponde e che Dante, se glielo chiedi, ti può salvare la vita, o almeno può farti venire voglia di averla salva, la vita.  Mi ha ricordato che si può vivere all’altezza dei propri desideri, che le nostre domande hanno un nesso con il Cielo e che il desiderio più grande, quello condiviso da tutti, in ogni tempo e in ogni luogo, è quello di uscire a rivedere le stelle.

Forse è per questo che scrivo di meno, perché ho scoperto che il tempo al di fuori del lavoro e della cura dei figli si impiega meglio sotto il cielo, ci sono troppe cose lì fuori che preferisco fare in questo momento rispetto alla piccola prospettiva che si scorge stando seduti dietro lo schermo di un computer.

Dante mi ha fatto venire in mente che le stelle sono sempre le stesse, anche se a Santa Barbara sono particolarmente belle perché sembrano più grandi e più vicine, ma forse ciò che conta – in Italia e nella California del Sud – è trovare il tempo di recuperare il nostro rapporto con le stelle dantesche, di fermarsi ad indagare, di andarlo ad interrogare di persona questo cielo stellato.